Corso Vittorio Emanuele II

Il vecchio corso, antico cuore della città che per certe analogie con il popolare quartiere romano veniva e viene chiamato Trastevere, nell’immediato dopoguerra sarà intitolato dal popolo al pensatore e rivoluzionario tedesco Engels, nome che, salvo rarissime eccezioni, quasi tutte le cartoline di questo periodo riportano e persino anche alcuni documenti ufficiali del Comune, come ad esempio il manifesto del 1955 che istituisce il senso unico in Corso Italia e nello stesso corso in oggetto. Sembra tuttavia non esserci stato un riscontro anagrafico, al punto che con il passare del tempo il vecchio nome di Corso Vittorio Emanuele II, che era quello ufficiale e che non è mai del tutto scomparso, sarà quasi automaticamente ripristinato sebbene nella lingua parlata capiti ancora di sentire il nome di Engels.

La trasformazione più significativa è sicuramente l’asfaltatura dell’antico lastricato che pavimentava tutto il corso fino a Marina e che si può ancora notare lungo la discesa per andare in Piazza Bovio e nella stessa zona di Marina. Si trattava di lastroni in pietra con le caratteristiche scanalature fatte a mano che servivano da antiscivolo. Furono ricoperte di bitume negli anni 50 inoltrati.

Un’altra rilevante trasformazione è l’apertura dell’arco praticato nell’antico muro di cinta della città, alla sinistra del Torrione, per facilitare il collegamento fra Corso Vittorio Emanuele e Piazza Edison, che avvenne all’inizio della seconda metà degli anni 50 e che vedremo nel successivo capitolo di Piazza Verdi.

Da rilevare poi l’uso dello spazio ai lati del Torrione dove già nell’epoca precedente, alla sua destra, era collocato un chiosco di Oliviero Terzi per la rivendita dei giornali.

L’uso verrà tramandato anche nel dopoguerra cosicché troviamo dapprima lo stesso chiosco di Oliviero Terzi, poi quello del Marianelli ed infine negli anni 70 quello del Capra che era attaccato al muro del Torrione dal quale fu fatto sgomberare all’inizio del 1987 per trasferirsi nella vicina Piazza Edison dove è tuttora sebbene sia cambiata gestione.

Dalla parte sinistra troviamo invece nel dopoguerra il chiosco di Gerardi Libero adibito ad Agenzia Totocalcio e che venne rimosso a seguito di diffida del Comune l’ultimo giorno del 1952.

Più tardi, ancora sul lato sinistro, troviamo la bancarella di Trassinelli Eraldo per la rivendita di frutti di mare e che seguirà le sorti dell’ultimo chiosco di giornali andando a finire al mercato coperto dove è tuttora. Intanto negli anni 70 il divieto di accesso all’interno del Rivellino anche per i pedoni aveva portato alla installazione di un cancello in ferro ai piedi del Torrione e di una inferriata fissa agli altri ingressi alla sua destra, nonché alla chiusura della porta dello stesso Rivellino, la quale era stata riaperta negli anni 50 al solo transito pedonale.

Nel 1970, al posto degli usuali globi per l’illuminazione pubblica, erano stati installati sui muri dei palazzi lampioni di stile antico come quelli che vediamo ancora. Del 1973 infine l’istituzione della zona blu, uno dei primi esempi in città dopo quello di Piazza Bovio e che sarà presto seguito da Piazza Verdi e Corso Italia.

Il vecchio corso veniva così riservato al solo passeggio e liberato dal caos di auto e motorini che prima vi potevano transitare regolarmente salvo le limitazioni imposte dalle varie regole del traffico che si sono succedute nel tempo e che vedremo nel capitolo di Corso Italia.

Uno sguardo infine alle attività commerciali di questa breve ma intensa strada.

Parlare di Corso Vittorio Emanuele è infatti parlare anche dei suoi commercianti che l’hanno vissuta e fatta vivere, e non potendoli nominare tutti, ci limiteremo ad evocarne alcuni fra quelli che di più hanno impressionato l’immaginario collettivo così come Gino Celati, fotografo serio sempre attento all’avvenimento più che al fatto commerciale fine a se stesso e nelle cui vetrine ai lati dell’ingresso erano sempre esposte le immagini dei vecchi tempi piombinesi, di volta in volta diverse, che richiamavano interi gruppi di anziani che ricordavano ma anche di giovani che invece cercavano di capire.

Il Celati ha cessato l’attività alla fine del 1987, dopo oltre cinquant’anni di fotografie. Un altro fotografo, passato però un po’ più in sordina, è Bertolini Ideale che era anche un appassionato costruttore di barche e che cessò l’attività nel 1980. Ricordiamo ancora i fratelli Centini, Dante e Quiro con le mogli anch’esse due sorelle, e il loro negozi di casalinghi dalle vetrine sempre riccamente addobbate ed i cui bei giocattoli hanno riempito i sogni di intere generazioni di ragazzi della Città Vecchia e non solo di questa, fino all’abbandono dell’attività nel febbraio 1984. E le sorelle Barsotti con la loro vecchia cartoleria tutta in legno con tanti cassetti pieni di articoli di cancelleria e caratterizzata dal piacevole odore delle matite Giotto, quasi un profumo che introduceva i ragazzi nel magico mondo dei colori. Cessarono l’attività nel 1981.

E ancora occorre ricordare il negozio di frutti di mare da Giuliana quando ancora era possibile gustarli crudi senza alcun pericolo, soprattutto i ricercatissimi “muscoli” che venivano serviti aperti e con una scorza di limone.

E sempre per restare nel campo della ghiottoneria, il banchetto ambulante di polpo lesso da Ribelle, detto “Bille”, autentica specialità piombinese.

E i due negozi di sali e tabacchi, o più semplicemente “tabacchini” come vengono chiamati dalle nostre parti, editori di molte delle cartoline riprodotte nel presente volume: quello del Giuliani nei pressi del Torrione, e l’altro vicino al palazzo municipale attualmente di Grassi Rodolfo.

Per finire uno sguardo anche ai bar, ben quattro e tutti popolari per la ragione stessa della loro natura.

Così il bar a fianco del Torrione legato ai vecchi tempi del Caffè Chantant di inizio secolo, frequentato soprattutto da giovani e fra i cui vari gestori ricordiamo affettuosamente le sorelle Parrini.

Quindi il Bar Nanni, locale anch’esso di vecchissima tradizione frequentato un tempo dai numerosi appassionati della vela che qui si riunivano in grandi tavolate assieme a proprietari ed equipaggi per festeggiare le vittorie degli scafi più popolari fra i quali c’era “Amica”, una 6 e 50 affidata alle eccellenti abilità di Gino Della Monica, il miglior timoniere della zona, e di proprietà di Sansoni Giovanni detto “Nanni”, fondatore del bar omonimo. Circa l’immagine delle due figure con la scritta “Siamo vecchi e si preferisce sempre il Nanni”, contenuta nella vetrina all’ingresso del locale e fortunatamente mantenuta nonostante i vari cambi gestionali e commerciali, sembra trattarsi di una foto del Giovannardi colorata a mano e riproducente i genitori di Gino Della Monica.

Il Nanni cui si fa riferimento nella scritta era il famoso aperitivo inventato dallo stesso Sansoni che era la specialità della casa e la cui formula pare sopravvissuta attraverso la figlia di lui, Gina, che ha gestito il locale assieme al marito ed al fratello Doro fino alla cessazione dell’attività avvenuta nei primissimi anni 80.

Poi il Bar Tirreno, il più vicino al Municipio, vecchio locale frequentato soprattutto dai pescatori e dotato in questo periodo di un’ottima e molto frequentata gelateria.

Infine il Volturno che più che un bar era una osteria-fiaschetteria dove si potevano fare delle ottime merende a qualsiasi ora della giornata e dove i numerosi frequentatori si intrattenevano in lunghe partite a brisca e tre sette concedendosi il gusto di almeno un paio di bicchieri di ottimo vino.